Europa in corsa per le terre rare africane

Jun 8, 2022

L’Africa è centrale per le strategie energetiche e industriali dell’Europa. Non solo gas e petrolio, ma anche risorse minerarie

Di Federico Piazza

 

L’Unione Europea, che importa il 98% del suo fabbisogno di terre rare dalla Cina, a settembre 2020 ha reso pubblico l’Action Plan on Critical Raw Materials. Obiettivi: aumento dell’indipendenza strategica e diminuzione della dipendenza da Pechino. Non solo attraverso progetti di riciclo, ma anche aumentando partenariati strategici con i Paesi africani così da assicurare una diversificazione dell’approvvigionamento.

In occasione del vertice UE-Africa a Bruxelles a febbraio 2022, l’UE ha annunciato investimenti in Africa per 150 miliardi di euro attraverso il pacchetto Global Gateway Africa-Europe. Cinque le aree: transizione verde; transizione digitale; sviluppo sostenibile e creazione di posti di lavoro dignitosi; sanità; educazione e formazione.

L’impegno per lo sviluppo delle materie prime critiche, che includono le terre rare, è richiamato esplicitamente nei piani per lo sviluppo sostenibile e la creazione di lavori dignitosi, per i quali l’UE dichiara che sosterrà i Paesi partner nell’estrazione e nel conferimento di valore aggiunto a livello locale alle materie prime minerali prodotte localmente.

L’obiettivo molto ambizioso è di consentire, entro il 2030, ai Paesi africani di integrare le loro materie prime e le loro risorse in catene del valore globali sostenibili. Osserva il presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, Massimo Dal Checco: «In questo contesto le imprese del nostro Paese possono lavorare con i Paesi africani nella produzione delle terre rare grazie alle competenze tecniche e al know-how che il Made in Italy è capace di esprimere».

Eugenio Bettella, tra i soci fondatori dello studio internazionale Bergs&More, spiega: «Il modello di business sino-africano di materie prime in cambio di infrastrutture e prodotti di bassa qualità sembra destinato al capolinea, perché l’Africa si è finalmente svegliata e il valore aggiunto lo vuole realizzare internamente, avendo ben capito che la trasformazione locale rende di più e le infrastrutture e relativa finanza possono costare meno ed essere di migliore qualità.

Parole banali, forse, ma che oramai suonano come un mantra tra i corridoi di molti governi – sottolinea Bettella — che non fanno più mistero di una insofferenza per un partner che peraltro, in questi mesi, non sta rispettando molti accordi, lasciando così grande spazio a chi, come le imprese europee e del Golfo arabo, si stanno proponendo forti di tecnologia e di finanza estremamente competitiva».

«Guardiamo a Kenya, Tanzania, Ruanda, Burundi, Malawi, Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo e, non ultima, Uganda, che sono solo alcuni dei mercati che stanno registrando elevati tassi di crescita e che stanno accelerando sui piani di sviluppo interno».

Sono Paesi che desiderano emanciparsi dalla Cina verso cui il debito sta raggiungendo livelli preoccupanti. Paesi che hanno deciso di varare piani di industrializzazione per la trasformazione interna delle materie prime e per la soddisfazione del mercato locale, regionale, e in prospettiva continentale grazie alla progressiva implementazione dell’area di libero scambio AfCFTA a cui aderiscono 54 dei 55 Stati africani.

Paesi che stanno adottando pacchetti normativi incentivanti per gli investimenti stranieri e che stanno ammodernando la propria macchina amministrativa per velocizzare le procedure e rendere la gestione degli affari più efficiente.

 

L’articolo completo su Nord Est Economia

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