L’emulazione, non la guerra
Di Giancarlo Calciolari
Uno sguardo rapido alla cucina russa e alla cucina ucraina non trova differenze che superino quelle fra la cucina veneziana e la cucina trevisana o fra la cucina veronese e la cucina vicentina. Certo ci sono libri specifici su ciascuna cucina e alla lente d’ingrandimento si notano molte differenze.
Il Borsch è la zuppa tipica ucraina e il Borsch è la zuppa tipica russa. Entrambe a base di rape rosse. Nessuna differenza? L’aggiunta ucraina di aglio e lardo? Chi l’ha inventata? Pare l’Ucraina. E pare che il suo nome significhi “sul confine” (u krajna). Una cucina di centro e una cucina di confine?
La cucina delle due nazioni serba la traccia della loro storia? Certo. L’antica “cucina” di confine, anche fra scandinavi e vichinghi, diventa il centro di un grande e potente impero che andava dal Mar Baltico al Mar Nero. I Rus’ erano il clan vichingo della città, che uccide i signori slavi. Nasce così la madre di tutte le città dei Rus’, dichiarò il principe Oleg nell’882, conquistando Kyiv. Cent’anni dopo il principe Vladimir converte vichinghi e slavi alla religione cristiano ortodossa.
La cucina centrale unificata non regge l’impatto con l’orda dei conquistatori mongoli guidati da Baty Khan nel 1240. Dopo l’onda che rade al suolo Kyiv e stermina i suoi abitanti sorgono tre principati. Galizia, Volynia e Moscovia, che in seguito divennero: Polonia, Lituania e Russia. Poi la Russia emerge come impero e diventa madre Russia con il successivo impero sovietico, che implode nel 1989. Nel 1991 l’Ucraina diviene repubblica.
La cucina delle patate, del cavolo, delle bietole è l’indice della forza produttiva sia ucraina sia russa. La Russia è al terzo posto mondiale, dopo Cina e India, di produzione di patate, con 29,5 milioni di tonnellate. L’Ucraina è al quarto posto mondiale di produzione di patate con 19,4 milioni di patate. Ma ci sono altre patate che scottano sotto questa eccellenza produttiva. Ancora brucia la patata della collettivizzazione forzata delle terre. “Holodomor”, deriva dall’espressione ucraina moryty holodom, che significa “infliggere la morte attraverso la fame”: è il nome attribuito alla carestia provocata da Stalin, non generata da cause naturali, che si abbatté sul territorio dell’Ucraina negli anni dal 1929 al 1933 e che causò circa 7 milioni di morti.
A maggior ragione conta la cucina non più come impossibile metafora di una nazione. Ai vareniki ucraini rispondono i pirozhki russi: sorta di ravioli fritti, con o senza patate. Borsch russo e borsch ucraino si guardano allo specchio. E ancora: al golubcy ucraino risponde il golubsty russo: i famosi involtini di cavolo. E quando i curiosi delle cucine guardano in ogni regione e in ogni provincia trovano varianti di varianti di ogni involtino di cavolo.
Ecco la lezione diplomatica della cucina: non c’è il piatto originale, che ognuno dovrebbe eseguire. E non c’è il piatto supplementare alla perdita del piatto originale perduto. La cucina non è dell’Unico e nemmeno della Moltitudine: è l’arte diplomatica per eccellenza. Talleyrand, grande diplomatico, imbandiva la tavola con i migliori cuochi per ottenere gli armistizi. E c’è chi scherzando su internet ha indicato il cuoco del Cremlino come unico possibile salvatore dal massacro in corso.
La cucina non è solo il meccanismo che porta dalla natura alla cultura (non certo alla dittatura), secondo l’antropologo Claude Lévi-Strauss. È l’arte dell’imbastitura, come nella sartoria, e cuce senza unificare, senza uniformare, senza mirare al monocibo per tutti gli uguali, nella loro tristezza di animali razionali.
Per limitarci all’influsso francese: la besciamella è colonna portante nella lasagna alla bolognese. Il sartù di riso e il gatto di patate napoletani sono frutti di cuochi francesi. E così il russo manzo alla Strogonoff è un’invenzione di uno chef francese, come l’ucraino pollo alla Kiev. Ci sono pure i viaggi inversi: i blini – aerei plum-cake – che accompagnano caviale e salmone affumicato sono in vendita da decenni nei supermercati francesi e ogni fine settimana sono lo stuzzichino preferito (con la tarama greca) per accompagnare gli aperitivi. Ceci c’est très français aujourd’hui!
Quanto deve la cucina francese ai cuochi fiorentini che accompagnarono Maria De Medici è un altro bel capitolo della cucina diplomatica. Persino l’invasione di Napoleone ha lasciato tracce dall’Ucraina all’Italia: dalle frittelle di patate deruny al tortel di patate trentino. Ma la suggestione offerta dalle pommes paillasson dei militari napoleonici non giustifica nessuna invasione.
I cuochi come ambasciatori del gusto, meno litigiosi degli intellettuali quasi sempre schierati fra un despota e un tiranno, potrebbero proporre la “cucina diplomatica”, tra l’altro c’è già un dolce che si chiama “diplomatico”.