Oltre la metà della capacità produttiva di idrogeno verde del progetto NAHV finanziato dall’Ue tra Italia, Croazia e Slovenia arriverà da una centrale termoelettrica destinata alla riconversione energetica situata a est di Lubiana. E la Slovenia può fornire all’Italia anche elettricità da energia nucleare
Di Federico Piazza
La Slovenia sta diventando un partner energetico dell’Italia. Due gli ambiti: idrogeno verde e nucleare.
Per il nucleare è in corso il raddoppio dei reattori della centrale di Krško, un impianto originario dei primi anni 80 oggi gestito in joint-venture sloveno-croata, che fornisce un terzo dell’energia elettrica del piccolo paese (2,1 milioni di abitanti, 20mila km quadri di superficie, 52 miliardi di euro di Pil).
Al progetto, cui partecipa come partner tecnico Ansaldo Nucleare, guarda con favore Federacciai, visto che diversi operatori siderurgici italiani sono interessati ad aderire a una newco costituita ad hoc per ottenere in cambio contratti vantaggiosi di forniture energetiche.
Ma la Slovenia è in primo piano soprattutto sull’innovazione in materia di idrogeno verde, una sfida tecnologica ed economica molto difficile per tutta l’Europa. Inizia infatti il primo settembre 2023 l’attuazione del progetto transnazionale della Valle dell’Idrogeno tra Italia, Croazia e Slovenia. Il NAHV (North Adriatic Hydrogen Valley) ha ottenuto il punteggio più alto nell’ambito delle iniziative del programma Ue Horizon Europe per lo sviluppo della filiera dell’idrogeno verde. Finanziato per 25 milioni di euro, durerà 72 mesi. Sei anni di tempo per realizzare diciassette progetti pilota per la produzione, lo stoccaggio, la distribuzione e l’utilizzo in ambito industriale e trasporti via terra e via mare di idrogeno da fonti energetiche rinnovabili in tutti i territori interessati dei tre paesi coinvolti.
Capofila del NAHV è la principale società energetica slovena, Holding Slovenske Elektrarne (HSE). Un’azienda statale focalizzata sulla produzione idroelettrica e geotermica (fonti che forniscono i due terzi dell’elettricità in Slovenia), impegnataanche in progetti di parchi fotovoltaici. Nella Valle dell’Idrogeno la Slovenia sarà il principale produttore, perché delle oltre 5000 tonnellate annue di output di idrogeno verde previste dal NAHV il contributo maggiore, 3000 tonnellate, proverrà da un impianto che sarà installato nell’area della centrale termoelettrica di Šoštanj, nella regione a est di Lubiana avviata verso l’obiettivo decarbonizzazione.
La Slovenia ha già chiuso le altre centrali a carbone risalenti ai tempi della ex Jugoslavia, tra cui, curiosità, spicca quella di Trbovlje dove in una stretta valle sul fiume Savasvetta la più alta ciminiera d’Europa e una delle più alte al mondo, 360 metri (assunta tra l’altro agli onori della cronaca e del marketing sportivo e turistico a inizio 2021, quando dopo essere stata appositamente attrezzata e messa in sicurezza con prese artificiali ad alto grado di difficoltà collocate sulla liscia superficie di cemento, è stata scalata in libera completa cioè senza interruzioni in poco più di sette ore da due fuoriclasse sloveni dell’arrampicata sportiva, Domen Skofic e la campionessa olimpica Janja Garnbret).
Chiusa la parentesi sulle sfide sportive e tornando a quella per la transizione energetica con l’idrogeno verde, per l’Italia al progetto NAHV partecipa la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia con il coordinamento da parte dell’ente di ricerca Area Science Park di diversi partner italiani coinvolti (industrie, utility energia e trasporti, enti di ricerca e università). Anche qui un forte interessamento ce l’ha, tra i vari settori produttori di emissioni hard-to-abate, quello siderurgico, che è storicamente molto radicato in Friuli. Tant’è che tra i partner industriali del progetto NAHV figurano i gruppi Cimolai, Danieli e Pittini.
L’idrogeno verde si produrrà quindi anche a Trieste. Con fondi Horizon ma soprattutto con fondi del PNRR secondo gli obiettivi del Piano Nazionale per l’Energia e il Clima (PNIEC), nella zona del porto sorgerà a opera di AcegasApsAmga un impianto di elettrolisi dalla capacità di 370 tonnellate l’anno, alimentato da un parco fotovoltaico da 4,5 MW, la cui produzione dovrà essere utilizzata principalmente per alimentare autobus del trasporto locale e mezzi di trasporto ferroviari e stradali per la logistica portuale e industriale triestina.
La questione dell’utilizzo economicamente sostenibile dell’idrogeno verde come vettore energetico per industrie altamente energivore è dibattuta. L’idrogeno verde gioca sulla carta un ruolo importante per gli obiettivi Ue di transizione energetica verso la decarbonizzazione dell’industria, dei trasporti e dei consumi energetici continentali. La Commissione europea ritiene che, mettendo in atto uno sviluppo accelerato del settore, la quota dell’idrogeno nel mix energetico europeo potrebbe arrivare al 13% o addirittura al 20% per il 2050. Ma dovrebbe essere tutto green. Mentre, ad oggi, i dati elaborati da Irena, l’agenzia internazionale delle fonti energetiche rinnovabili, evidenziano come il 96% della produzione globale di idrogeno sia realizzata con combustibili fossili: gas naturale in testa, seguito da carbone e petrolio. Perché costa molto meno. Il gap da colmare è pertanto gigantesco.
Qualche dubbio, per usare un eufemismo, c’è da parte delle imprese, dei tecnici e degli analisti sulla fattibilità economica dell’adozione su grande scala dell’idrogeno verde come vettore energetico per i processi industriali. Dubbi tra l’altro corroborati dal fatto che il governo italiano nell’ultima proposta di revisione del PNRR ha ridotto di un miliardo i fondi previsti per lo sviluppo dell’idrogeno nell’industria, che dovrebbero comunque arrivare da altre fonti di finanziamento europee e nazionali.