L’educazione nuovo driver di Dubai?

Mar 1, 2022

Hervé Marchet, ex EduCeo di Apple, racconta la sua diaspora in un paese arabo

Di Francesco Rao

 

Tra i protagonisti negli Emirati Arabi Uniti (UAE) del digitale c’è il francese Hervé Marchet. Con un percorso formativo basato su studi umanistici e letterari, per 12 anni è stato a capo di Apple per l’educazione in Europa.

E oggi ha spostato la sua esperienza in UAE: “Sono nato a Reims e sono cresciuto con molti degli attuali leader cittadini. Vengo da una famiglia di militari e dalla grande capitale dello champagne. Il Liceo dei gesuiti Saint Joseph mi ha reso l’uomo che sono. Niente come quegli studi mi ha portato così avanti nell’educazione e nei valori. Il nostro motto era ‘Cavalier, quel que soit l’obstacle, jette d’abord ta monture, ton cœur suivra’. E qualunque cosa faccia, devi provarci e farlo con il cuore. Sono un ‘IT-guy’ da anni e spesso, nei team, l’unico non ingegnere. Ho sempre aggiunto il lato umano nel lavoro e nella leadership. Se hai una visione, un’abilità e un coraggio, porterai la tua squadra lontano”.

E la vita in Medio Oriente? “Mio nonno aveva vissuto in Siria e Libano e mio padre ha passato anni in Marocco. Anch’io volevo vivere qualche anno in un paese arabo allo scopo di sperimentare l’accoglienza ‘beduina’. Ho scelto Dubai perché era un ottimo mix di cultura araba e di tocco europeo. Dopo qualche anno ho deciso di rimanere più a lungo perché mi sento al sicuro, a mio agio per il lavoro, e vicino a tante mete che volevo scoprire, principalmente in Asia”.

E la differenza tra l’istruzione nel pianeta del desktop e del PC e l’istruzione negli smartphone? “Ai tempi dell’era informatica, erano gli insegnanti non nati nell’era digitale a insegnare ai bambini nativi dell’era digitale. Il computer? Solo uno strumento e non una destinazione. Era un nuovo modo per migliorare l’apprendimento come facile accesso alle informazioni e a un migliore scambio. Il telefono è ora la finestra principale da cui e in cui i bambini guardano”.

Prosegue: “Gli insegnanti non sanno come captare la loro attenzione e i social network hanno aggiunto una mancanza di privacy su tutto. Tutti gli scambi, le discussioni possono finire su un social media per essere utilizzati senza contesto. Non c’è più un patto sociale con gli studenti e il coinvolgimento dei genitori che ne deriva è spesso negativo. Ora, occorre vivere con il proprio tempo e penso che dovrebbe scaturire una nuova pedagogia, e che essa nascerà dal modo in cui i bambini imparano e agiscono. Anche a Dubai”.

Quale ruolo svolgerà, nel tempo, l’Expo di Dubai? Potrebbe diventare un progetto che può aiutare gli Emirati Arabi Uniti e i Paesi del Golfo, e più in generale il mondo arabo, ad avere un rimbalzo intellettuale? “Tutti conoscono Dubai ma quasi mai per l’aspetto culturale. Alcuni padiglioni alludono alla sostenibilità: positivo, ma era atteso. Non prevedo l’Expo come un volano principale per l’istruzione in quanto tale. Ma con questo pretesto, molte altre attività sono ora rivolte all’educazione e la città-stato Dubai potrebbe mobilitarsi in tal senso”. Anche convertendo come è avvenuto in Italia con Expo 2015, gli edifici in strutture universitarie.

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