Il cantiere aperto delle regole UE sulle emissioni di CO2 dell’industria

May 17, 2024

Acciaio e alluminio sono tra i settori più interessati. Ma permangono dubbi sugli effetti economici del CBAM per l’industria europea

Di Federico Piazza

 

L’industria manifatturiera europea chiede a gran voce all’Ue una riforma del sistema dello scambio delle quote di emissione di gas a effetto serra (ETS) e una revisione del neonato Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) di compensazione delle emissioni incorporate in determinate tipologie di merci ad alta intensità carbonica importate da paesi extra Ue.

Il CBAM dovrebbe infatti gradualmente sostituire l’attuale sistema di assegnazione gratuita di quote ETS.

La questione è rilevante per la Confindustria italiana, che nel documento “Fabbrica Europa” la inserisce tra gli interventi necessari nella prossima Legislatura Ue a sostegno della competitività.

Mentre ad aprile 2024 la Camera dei Deputati ha votato con una maggioranza trasversale una mozione che impegna il governo italiano a confrontarsi con le istituzioni europee per apportare sostanziali modifiche al meccanismo.

La fase transitoria di applicazione del CBAM, avviata il 1° ottobre 2023, terminerà il 31 dicembre 2025.
Fino a tale data riguarderà acciaio, alluminio, cemento, energia, fertilizzanti, ghisa, idrogeno, per poi essere teoricamente estesa ad altri settori nel 2026. Quando, con l’avvio dell’applicazione a pieno regime, inizieranno anche gli impatti economici, che potrebbero essere notevoli con l’aggravio di costi per l’acquisto dei relativi certificati di compensazione sulle quantità di emissioni eccedenti le soglie Ue incorporate nelle merci importate.

Acciaio, alluminio e ghisa sono tre settori metallurgici doverilevante è l’import di prodotti base e semilavorati provenienti da paesi extra europei. In particolare dall’Asia. Il CBAM però non riguarda, almeno in fase transitoria, i prodotti finiti che contengono componenti in acciaio, alluminio e ghisa.

L’applicazione esclusiva alle materie prime e ai semiprodotti non trova d’accordo le associazioni italiane di filiera dell’acciaio, dell’alluminio e della ghisa, come Federacciai, Assofermet, Assomet e Assofond.

Paolo Sangoi, presidente di AssofermetAcciai, considera contraddittorio e controproducente lasciare «piena libertà di import dei beni e componenti realizzati fuori dalla Ue con la stessa materia prima che, se importata senza ulteriori lavorazioni o trasformazioni, è soggetta alla normativa. Si tratta di una serie di clamorosi errori normativi: nella fase di studio non si è evidentemente tenuto conto delle conseguenze sul sistema manifatturiero e sulla sua competitività».

Con l’entrata in vigore a pieno regime nel 2026 le aziende di tutte le filiere metallurgiche in questione si aspettano un aumento dei costi delle materie prime per la manifattura Ue, con relativo effetto inflazionistico. Fino a un +15% per l’acciaio, prevede Assofermet.

Mentre per quanto riguarda l’alluminio, il vicepresidente di Assomet, Mauro Cibaldi, osserva che «l’applicazione del CBAM e del relativo “dazio ambientale” solo sulle importazioni di pani, billette e semilavorati rischia di aprire ancora di più il mercato europeo alle importazioni di prodotti finiti da paesi extra Ue a prodotti estremamente concorrenziali. L’impatto economico della “tassazione” CBAM potrebbe essere piuttosto dirompente, arrivando anche a 500 euro la tonnellata».

Gli operatori di settore mettono inoltre in guardia dal rischio che il meccanismo possa contribuire ad accentuare il processo di deindustrializzazione dell’Europa, perché molte imprese manifatturiere potrebbero decidere nei prossimi anni di delocalizzare la produzione in paesi extra Ue anche non lontani con una legislazione ambientale meno restrittiva. Nei Balcani Occidentali, in Turchia, in Nord Africa.

L’applicazione transitoria rischia di diventare nel frattempo un fardello burocratico per molte imprese e di esporle alle sanzioni previste in caso di errori su comunicazioni il cui contenuto è difficile da verificare.

Gli importatori sono infatti tenuti a raccogliere dai fornitori extra Ue moltissimi dati sulle emissioni dirette e indirette (Scope 1 e Scope 2) dei processi interni e dell’approvvigionamento di energia di tutti gli impianti coinvolti nella produzione delle merci fornite e a comunicarli trimestralmente tramite un’apposita piattaforma on line del Registro CBAM.

Nei primi mesi di applicazione sperimentale gli importatori hanno avuto la possibilità di applicare valori di default predefiniti sulle emissioni incorporate di CO2 nelle merci per tutti i campi di dati di cui non c’era disponibilità.

Cosa di fatto necessaria, visto che poche aziende riescono a farsi dare dai fornitori esteri tutte le informazioni teoricamente richieste. «Si stanno purtroppo confermando tutte le nostre previsioni», commenta Sangoi. «È estremamente complicato reperire le informazioni dai fornitori e si sono verificate importanti complicazioni nell’inserire i dati nel sistema. Ancora oggi sono molti i produttori che si dichiarano non disponibili a fornire una certa parte di dati in quanto ritenuti estremamente riservati».

Le cose potrebbero complicarsi in autunno. O forse no. Da luglio 2024, infatti, i cosiddetti “default value” non potranno superare il 20% del totale dichiarato, e la responsabilità legale della veridicità di ciò che si comunica al Registro CBAM ricade sulle aziende importatrici. Potrebbe aiutare il fatto che dal 2025 i fornitori extra Ue potranno iscriversi nel Registro CBAM e comunicare direttamente i valori di CO2 da riportare nelle dichiarazioni relative ai materiali che esportano in Europa. Ma è da vedere in quanti lo faranno.

In teoria i dati comunicati dai fornitori dovrebbero essere certificati da enti terzi autorizzati dall’Ue. Il controllo dovrebbe essere fatto con verifiche in loco nei diversi siti produttivi extra europei delle aziende esportatrici.

Ma molti responsabili acquisti e di regulatory ambientale di aziende norditaliane delle filiere dell’acciaio e dell’alluminio affermano che al momento non si sa se e come ciò sarà fattibile.

Nel frattempo gli operatori attendono ulteriori chiarimenti da parte della Commissione, che non ha esaurito la regolamentazione della materia. E sperano nell’applicazione del buon senso.

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