L’elettrosiderurgia è la scommessa green dell’acciaio Ue

May 25, 2023

L’Italia ha il primato con l’80% della produzione nazionale con forni elettrici, ma il resto d’Europa è mediamente ancora sotto il 50%. Cruciale, oltre che sviluppare l’utilizzo del preridotto HBI/DRI, è la filiera del rottame ferroso: per ora la raccolta Ue è sufficiente a coprire il fabbisogno interno e il surplus viene esportato soprattutto in Turchia

Di Federico Piazza

 

Se lEuropa vuole diventare campione mondiale di elettrosiderurgia, come lo è già l’Italia, serviranno 50 miliardi di euro di investimenti industriali.

La stima di Eurofer - The European Steel Association è stata recentemente citata dal presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, nella sua relazione all’assemblea annuale 2023 della Federazione delle imprese siderurgiche italiane alla fiera Made in Steel di Milano.

In Italia si produce con forni elettrici oltre
l’80% dell’acciaio, utilizzando rottame ferroso e semilavorato preridotto HBI (Hot Briquetted Iron) o DRI (Direct Reduced Iron). Nel 2022 si è arrivati all’84,5% dell’output nazionale, che è stato di 21,6 milioni di tonnellate.

Una percentuale superiore a quella della Turchia (71%), che è un altro paese tra i primi dieci produttori mondiali di acciaio ad avere fortemente investito sulla produzione basata sul forno elettrico. E nettamente più alta della media Ue, che non va oltre il 40%. Tant’è che il presidente di Eurofer, Francesco Rubiralta Rubio, indica l’Italia come l’esempio da seguire per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione del settore siderurgico europeo.

Gozzi commenta con orgoglio il primato italiano e rilancia: «Non vogliamo solo essere la siderurgia europea più decarbonizzata, come siamo già oggi. Ma, partendo da questo primato, abbiamo in testa di essere nel 2030 la prima siderurgia del mondo che raggiunge una produzione di acciaio completamente green. Mantenere il titolo di campioni europei ed aspirare a diventare campioni del mondo comporta un orizzonte di sfide e di sacrifici».

In Ue, per arrivare a una quota dell’80% in linea con quella italiana, si dovrebbe aumentare di almeno una cinquantina di milioni di tonnellate la produzione siderurgica con forno elettrico. Investendo appunto cinquanta miliardi di euro, secondo calcoli che quantificano un costo di un miliardo di euro per ogni milione di tonnellata di produzione riconvertita.

Gozzi non nasconde le difficoltà per l’industria europea. Non solo per i budget per l’upgrade tecnologico, che sempre più dovrebbe sviluppare l’impiego di preridotto HBI o DRI. Ma anche per il tema energia, visto che aumenterà la domanda di elettricità rispetto al carbone che alimenta gli impianti a ciclo continuo. A cui si aggiunge la questione della disponibilità di una materia prima essenziale, cioè i rottami ferrosi, che in Europa non coprirebbe il fabbisogno di un’industria siderurgica ampiamente riconvertita a forno elettrico.

Forte quindi è la pressione del settore siderurgico per ridurre l’export di rottame verso i mercati extra Ue, che si aggira intorno ai 20 milioni di tonnellate l’anno. Destinazione principale la Turchia, che assorbe due terzi delle esportazioni

Ma lo scenario di un’offerta di rottami non in grado di soddisfare il fabbisogno dell’industria dell’acciaio Ue diventerebbe prossimo solo se la riconversione elettrosiderurgica fosse rapida. Realistico?

L’Ue è oggi un esportatore netto di rottami ferrosi in quanto la domanda interna per la produzione di acciaio rimane inferiore alla raccolta. Esportare il surplus di rottame è, dunque, uno sbocco logico e naturale.
Fa eccezione l’Italia, dove il forte sviluppo dell’elettrosiderurgia comporta, caso praticamente unico nel Vecchio Continente, una domanda di rottami superiore alla raccolta nazionale, che comunque viene largamente soddisfatta da forniture
intra Ue (4,2 milioni di tonnellate nel 2022, dati Federacciai), mentre l’export italiano di rottami è molto ridotto (0,5 milioni di tonnellate nel 2022, dati Assofermet).

Per Assofermet Rottami, l’Associazione nazionale delle imprese che ne esercitano la raccolta, il recupero e il commercio, la crescente domanda da parte dell’elettrosiderurgia porterà spontaneamente, nei prossimi anni, ad una riduzione dell’export Ue. «Nel 2022 sono usciti dall’Ue 17,8 milioni di tonnellate di rottame, meno dei 19,5 milioni del 2021. Nello stesso periodo, mentre la raccolta è rimasta la medesima intorno ai 100 milioni di tonnellate, la produzione siderurgica europea è scesa dell’11% da 152,8 a 136,3 milioni», osserva Cinzia Vezzosi, vice presidente di Assofermet. «Ciò evidenzia che, a fronte di un calo dell’output di acciaio Ue, abbiamo ridotto l’export di rottame perché nel frattempo la domanda di rottami europea è aumentata».

Assofermet è quindi assolutamente contraria a misure dirigiste per la riduzione drastica e veloce delle esportazioni di rottame: «È anche nostro interesse che il rottame trovi mercato in Ue, e ciò avverrà via via che la transizione si realizzerà verso il condiviso obiettivo della decarbonizzazione del settore. Se invece nel giro di due anni le nuove normative Ue dovessero rendere difficile l’export, senza aspettare i tempi ovviamente più lunghi dei piani industriali di riconversione verso l’elettrosiderurgia, rimarrebbe un rilevante surplus di offerta di rottame con conseguente calo del prezzo, visto che il rottame è una commodity e reagisce alle relative logiche di mercato.

Ciò impatterebbe negativamente sulla capacità di investimento e sulla tenuta economica di questo segmento della filiera, essenziale per l’economia circolare dei metalli, cioè delle aziende che raccolgono, cerniscono, selezionano e processano il materiale riciclandolo, rendendolo così disponibile per nuovi processi industriali».

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