Metal Hub “Crisis Management”, urgono soluzioni logistiche e pensiero “politico” per le aziende

Mar 30, 2022

La crisi russo-ucraina sconvolge le forniture di materie prime e semilavorati, e per la siderurgia del Triveneto occorre adeguare le infrastrutture portuali e ferroviarie friulane

Di Federico Piazza

 

Sconvolgimento logistico e rompicapo strategico per le infrastrutture portuali friulane a causa della guerra in Ucraina e delle sanzioni alla Russia. Siccome dal Mar Nero e dal Mare d’Azov non arrivano più acciaio e ghisa, i porti dell’Alto Adriatico, e in particolare Monfalcone e San Giorgio di Nogaro che servono l’importante provincia siderurgica di Udine, dovranno attrezzarsi per ricevere navi più grandi di materie prime che solcano le rotte oceaniche da molto più lontano.

Nei prossimi mesi e forse anni, infatti, le bramme d’acciaio per i laminatoi friulani arriveranno da Brasile, Cina, India e Indonesia. Questo per effetto della diversificazione di approvvigionamento che gli operatori del settore con una forte presenza industriale tra Friuli e Veneto, tra cui il gruppo Metinvest la cui produzione siderurgica in Ucraina è ferma, sono stati costretti a mettere in pratica con l’esplosione della guerra.

La questione è emersa nel corso della prima unità di crisi Metal Hub “Crisis Management” a cui hanno partecipato il 28 e 30 marzo gli operatori del settore metallurgico e della logistica presso la sede centrale di Civibank di Cividale Friuli. E da cui arriva l’appello a potenziare l’infrastruttura ferroviaria tra i poli di Cervignano, San Giorgio di Nogaro e Monfalcone, e ad aumentare la profondità dei fondali dei porti per le navi più grandi.

Le problematiche connesse a metallurgia e logistica nella gestione della crisi sono confermate del presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, Zeno D’Agostino: «L’acciaio sta subendo anche una forte penuria di disponibilità e questo sarà probabilmente l’impatto più forte sui porti».

In tal senso, forte è l’urgenza di adeguare il pescaggio del bacino di San Giorgio di Nogaro che serve la zona industriale dell’Aussa Corno, dove gli attesi lavori di dragaggio previsti da ben prima che la questione russo-ucraina si palesasse non sono ancora stati avviati. Una questione fondamentale per il sindaco della cittadina portuale, Pietro Del Frate, presente alla sessione di Metal Hub del 30 marzo dedicata al tema delle infrastrutture, e dal gruppo logistico Fratelli Cosulich, principale gestore della rotta metallurgica Mare d’Azov — Alto Adriatico.

«Spero, e mi è stato garantito, che entro l’estate o inizio autunno tutto dovrebbe essere risolto», commenta il presidente Augusto Cosulich. Durante la conferenza in video collegamento dall’Ucraina è intervenuto anche Enver Tskitishvili, il direttore della storica acciaieria Azovostal del Gruppo Metinvest a Mariupol, distrutta nei combattimenti di questi giorni, che ha in particolar modo raccontato la tragica situazione umanitaria della città portuale assediata dai russi dove sono rimasti ancora 160mila civili.

«La provincia di Udine, con laminatoi in grado di produrre quattro milioni di tonnellate di output finito l’anno, è seconda solo a Brescia in Italia per export di acciaio, e questa situazione sta impattando molto sulle imprese e sui due principali porti regionali di riferimento per il settore del metalli», osserva la presidente di CiviBank, Michela Del Piero.

Le fanno eco il presidente di Finest, Alessandro Minon, che sottolinea che «Russia e Ucraina, da cui non arriva più nulla, sono fondamentali per l’approvvigionamento di materiali ferrosi per il nostro Paese e ancora di più per il nostro Triveneto, oltre che per cereali, farina e fertilizzanti”, e il direttore del Consorzio di sviluppo Cosef, Roberto Tomé, preoccupato di come «atteso la necessità di diversificare gli approvvigionamenti da altri contesti, se la situazione dovesse prolungarsi l’intera filiera entrerebbe in crisi».

Del resto, come riconosciuto da Fabio Zanardi, presidente dell’associazione confindustriale delle fonderie italiane Assofond e presidente e ceo della veronese Fonderie Zanardi, «non c’era un piano B, ma certamente abbiamo imparato molto in materia di risk management in questo periodo». Un approccio in cui per le imprese diventa sempre più importante essere aggiornati e avere strumenti analitici anche rispetto alle implicazioni geopolitiche dei mercati di vendita e di acquisto in cui si opera o che si vorrebbe approcciare.

«È la questione di un nuovo capitalismo politico, ovvero le aziende non possono permettersi “carenze” nel pensiero politico, dato che istanze come questa guerra investono anche le strategie e le decisioni di acquisto e fornitura delle materie prime», nota Francesca Bruni, presidente della piattaforma internazionale di interscambio business Art Valley. «Anche i mercati sono costruiti politicamente, quindi le strategie sulle supply chain devono considerare le problematiche poste dalla politica».

A livello operativo poi, in un contesto di crescenti sanzioni e contro-sanzioni internazionali, si complica per le aziende la gestione dei meccanismi della logistica dei flussi di import-export delle merci. Lo sottolinea Alfonso Santilli, presidente dell’Associazione Credimpex Italia che raggruppa i professionisti specializzati in operatività commerciale estero: «Per le PMI non dotate di uffici di compliance internazionale è difficile scrutinare con la dovuta tranquillità tutti gli attori della complessa filiera della logistica: l’operatore di trasporto, lo spedizioniere, l’operatore di dogana, i legali, i consulenti, la banca».

E inevitabilmente il precipitare della crisi russo-ucraina colpisce le aziende che negli anni avevano puntato molto su Russia e Ucraina. Due mercati che conosce molto bene Roberto Corciulo, presidente di IC&Partners, lo studio di consulenza business di Udine che con la sua estesa rete in Europa centro-orientale assiste da decenni molte aziende del Nordest nei processi di internazionalizzazione, Corciulo fa l’esempio dell’Ucraina, dove le sanzioni EU si applicano solo alle due repubbliche filo-russe autoproclamate di Donetsk e Lugansk. «Anche la grivnia ucraina si è svalutata, e già solo questo senza contare tutte le altre problematiche di difficile gestione, diminuisce il potere di acquisto delle aziende e dei consumatori di questo mercato e colpisce il nostro export».

Rispetto al mercato russo una testimonianza la porta Franco Savelli, presidente dell’associazione confindustriale Amafond dei fornitori di macchine, prodotti e servizi per fonderia, e direttore commerciale dell’omonima società bresciana Savelli: «La nostra azienda pagherà uno scotto enorme, abbiamo impiegato 15 anni a sviluppare il mercato russo investendovi moltissimo, e ora tutto quello che abbiamo fatto rischia di essere cancellato a favore dei concorrenti cinesi».

 

 

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