Nell’area si concentra il 66% dell’export italiano in Africa
Di Federico Piazza
Il Nordafrica assorbe due terzi dell’export italiano in Africa. Tant’è che i cinque paesi a sud del Mediterraneo sono da anni, con il Sudafrica, i primi sei mercati del continente per l’Italia.
Secondo dati Istat, nel 2021 un valore export di oltre 11,8 miliardi di euro su totale di 17,9 miliardi in Africa è andato in Egitto (3,8 miliardi, +57,1% sul 2019, quota di mercato nel continente 21,2%), Tunisia (2,85 miliardi, ‑8,7% sul 2019, quota 15,9%), Marocco (2,2 miliardi, +6,7%, quota 12,3%), Algeria (1,76 miliardi, ‑39,6%, quota 9,8%), Libia (1,2 miliardi, ‑3,3%, quota 6,7%). Complessivamente in Nordafrica si è tornati al livello del 2019. Ma solo Egitto e Marocco sono aumentati.
L’Egitto, in particolare, era il terzo mercato africano di destinazione nel 2019 con 2,4 miliardi di euro, oggi è il primo con 3,8 miliardi, ed è cresciuto anche nel 2020 grazie soprattutto a diverse commesse che hanno alimentato la domanda di beni di investimento (meccanica strumentale, apparecchi elettrici, mezzi di trasporto, etc.).
Molto resiliente è anche il Marocco: «È il paese più stabile dell’area – nota Alessandro Terzulli, chief economist di Sace – con il migliore profilo di rischio, un’economia piuttosto diversificata, e un settore manifatturiero vivace anche per le aziende che vi investono per avere un presidio diretto».
Attenzione merita l’Algeria, con gli importanti sforzi di sviluppo delle relazioni bilaterali, vista l’esigenza italiana di avere un partner solido nella diversificazione delle risorse energetiche cercando al contempo di invertire l’andamento negativo dell’export. Le esportazioni in questo paese sono infatti in calo da anni perché Algeri da tempo applica restrizioni sull’import di molti tipi di merci e il paese ha sofferto a lungo i prezzi bassi degli idrocarburi, che rappresentano oltre l’85% delle sue esportazioni. Ma nei primi quattro mesi del 2022 si è registrata una ripresa dell’export italiano, salito del 14,5% sullo stesso periodo dell’anno scorso.
Mediamente, secondo dati dell’Ufficio ICE di Algeri, quasi la metà sono attrezzature industriali. «L’Algeria oggi esprime una volontà manifesta di aprirsi gradualmente al mondo – osserva Terzulli – allentando gli strumenti di controllo sulle importazioni, e rendendo più facile il ricorso a strumenti di garanzia dei pagamenti internazionali, soprattutto su tecnologie e macchinari di cui il paese ha bisogno per diversificare l’economia.
Questo perché le riserve accumulate durante gli anni delle politiche conservative di Algeri sono state ampiamente utilizzate per fare fronte alla crisi economica e ridurre le tensioni sociali. La disponibilità algerina verso un ragionato aumento dell’indebitamento con l’estero può quindi aiutare l’export italiano in vari settori. Se ciò avverrà l’Algeria potrà nel tempo recuperare il suo primato tra i mercati dell’export italiano in Africa».
Promettente è il settore dell’estrazione e lavorazione di pietre naturali, un’industria che Algeri punta fortemente a sviluppare per servire la crescente domanda di prodotti lapidei del mercato domestico e dove l’Italia è tecnologicamente all’avanguardia mondiale. Così, durante il recente vertice intergovernativo di metà luglio ad Algeri, è stato firmato un accordo di collaborazione bilaterale tra Confindustria Marmomacchine e l’omologa federazione algerina Fammip.
Guardando invece ai dirimpettai dell’Italia, ai problemi della Libia si aggiungono oggi quelli della Tunisia, che come destinazione export in Africa è scesa rispetto al 2019 dal primo al secondo posto, anche se nei primi quattro mesi del 2022 c’è stata una ripresa (+27,5% sul 2021). Le prospettive non sono rosee, con l’accentuarsi dell’autoritarismo governativo dopo il recente referendum costituzionale con affluenza solo del 27%, tensioni sociali, forte dipendenza dalle importazioni alimentari, crollo degli investimenti esteri, alto deficit corrente, esclusione dal mercato dei capitali. Così l’atteso salvataggio FMI appare al momento lontano.